Salario: l’emergenza nagata

Nel paese delle mille emergenze la questione salariale non c’è.

A inizio di febbraio il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco intervenendo al 29° congresso dell’Associazione degli Operatori dei Mercati Finanziari (Assiom Forex) ha parlato di inflazione dei prezzi e di salari indicando ricette già note.

Come sa bene ogni lavoratore accorto le esternazioni di bankitalia anticipano sempre quel che i partiti di maggioranza diranno e faranno di qui a breve, dunque val bene la pena di dare uno sguardo più attento.

In estrema sintesi le argomentazioni del governatore si possono riassumere come segue.

“Le parti sociali dell’area Euro devono adottare decisioni responsabili volte a garantire che la dinamica di prezzi e salari resti coerente con il mantenimento della stabilità monetaria” (tralasciando di notare che anche l’apprezzamento del dollaro sull’euro è un fattore di inflazione importata. NdR).

Il governo deve “mitigare gli effetti dei rincari energetici, ma non può far slittare il consolidamento del bilancio” (eppure nel 2023 siamo ancora in sospensione del patto di stabilità europeo! NdR).

In coerenza con l’orientamento del Comitato direttivo della BCE bisogna evitare una “rincorsa tra prezzi e salari” e continuare ad aumentare i tassi di interessi europei, il prossimo è previsto in marzo (rassicurando che le imprese hanno depositi finanziari sufficienti per onorare i debiti, ma omettendo che la stretta creditizia a scopo di deflazione innesca sempre la recessione. NdR).

Dunque l’idea guida del governatore non brilla certo per originalità: alla fine dei conti serve il blocco dei salari per non rincorrere l’inflazione limitando gli aumenti al solo recupero della produttività, dove c’è. Un ritornello monotono che bisogna considerare con attenzione in termini generali e oggettivi.

A tal scopo utilizzeremo il Report sul Deposito dei Contratti monitorati secondo le previsioni dell’art. 5 del decreto interministeriale del 25 marzo 2016 (governo Renzi) che regolamentò il trattamento fiscale dei Premi di Risultato, pubblicato lo scorso 15 febbraio dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

I contratti di secondo livello depositati risultano essere in tutto 80.028. Però di questi soltanto 7.650 (6.937 aziendali e 723 territoriali) sono in corso di validità, cioè rinnovati o di nuova stipula.

Il valore medio dei Premi di Risultato è di 1.507 € annui (1.643 € per quelli aziendali e 578 € per quelli territoriali).

I beneficiari sono 2.542.000 lavoratori (di cui 1.648.000 per i contratti aziendali e 894.000 per i contratti territoriali). Ciò vale a dire che soltanto il 14,1% dei lavoratori dipendenti – o il 10,5% sul totale dei lavoratori attivi – ne beneficia.

Se prendiamo a riferimento i 20.720 € lordi di reddito medio pro capite annuo dei lavoratori dipendenti indicato dal Dipartimento delle Finanze vuol dire che soltanto quel 14,1% ha un incremento del 7,3% medio sulla retribuzione lorda che incide ancora di più sul netto per effetto delle norme sulla fiscalità di vantaggio (3.779 depositi sono validi anche ai fini della detassazione e 1.835 sono validi solo ai fini della decontribuzione).

Sono svantaggiati invece una vasta maggioranza di lavoratrici e lavoratori dei quali fa parte anche quell’oltre 90% che non rinnova i contratti integrativi, ma che comprende i bassi salari dei tanti precari, dei part time involontari, delle lavoratrici e dei lavoratori dei settori maturi, dei giovani e delle giovani che hanno fatto ingresso nelle imprese new economy con forme contrattuali atipiche o lavorando in nero.

La sperequazione è evidente anche comparando il numero complessivo dei contratti depositati (compresi quelli scaduti) nei grandi aggregati merceologici: l’Agricoltura conta soltanto l’1% contro il 61% dei Servizi e il 38% dell’Industria.

Sono svantaggiate intere aree territoriali.

Con 687 contratti di secondo livello depositati attivi, dietro a Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte nell’ordine, il Lazio si colloca al quinto posto per numero assoluto (601 aziendali e 86 territoriali), ma in rapporto alla popolazione attiva e al numero di aziende l’incidenza del salario di produttività nel Lazio si colloca nell’area povera centro-meridionale: il 75% dei contratti depositati è concentrato al Nord, il 17% al Centro e l’8% al Sud.

Cosa se ne può concludere?

Non facciamoci fregare con le favole sulla produttività per dare la mancia a un lavoratore e a una lavoratrice su 10 e ridurre il potere d’acquisto dei 9 su 10 . Aumenti salariali non inferiori al tasso di inflazione per tutt*!

Non permettiamo al governo e al padronato di isolare e di accerchiare i sindacati!

Per le lavoratrici e i lavoratori la politica c’è se riesce a mettere all’ordine del giorno la questione salariale e a dare il suo contributo per unificare gli interessi di un mondo del lavoro ormai estremamente diviso e costretto alla concorrenza selvaggia degli uni contro gli altri. Impegniamoci!