Il colpo di mano sul Teatro di Roma e lo smantellamento dei settori culturali

La nomina a Direttore Generale di Luca De Fusco, già direttore del teatro Stabile di Catania e prima, contemporaneamente, del Teatro Stabile Mercadante e del Napoli Teatro Festival, è un atto di inaudita arroganza che interferisce nelle autonome prerogative del CdA della fondazione Teatro di Roma.
L’ingerenza della maggioranza di governo, in particolare del Presidente della Commissione Cultura alla Camera Federico Mollicone, ha spaccato il CdA e ha pregiudicato forse irreparabilmente la collaborazione nella conduzione tra Roma Capitale e Regione Lazio che sono i soci fondatori della fondazione nonché i proprietari degli stabili.
Non ha precedenti il Contratto del Direttore Generale non firmato dal Presidente (Francesco Siciliano), ma solo dal vice presidente Danilo Del Gaizo e con una parte soltanto del CdA presente per la deliberazione, cioè con i consiglieri del Ministero e della Regione, mentre era assente la rappresentanza del Comune di Roma.
La situazione è dunque di grave instabilità e rischia di danneggiare pesantemente la Fondazione Teatro di Roma che comprende Teatro Argentina, India, Villa Torlonia; infatti entro gennaio il CdA dovrebbe sottoporre al Ministero della Cultura la richiesta per attivare i finanziamenti del Fondo Unico dello Spettacolo.
Chi risulterà tutt’altro che danneggiato, invece, è proprio il De Fusco che dai 68.000 euro di reddito annuo del Teatro di Catania dovrebbe balzare d’emblée ai 150-200.000 a carico della Fondazione.
La cultura è considerata un costo da tagliare, ma al tempo stesso anche una fabbrica di consenso da irregimentare. Ad attestarlo ci sono già precedenti illustri ascrivibili all’attuale maggioranza di governo.
Per esempio la nomina nel CdA del Teatro Piccolo di Milano di Geronimo La Russa, figlio di Ignazio Benito Maria, seconda carica dello Stato, con un effetto simbolico molto forte dato che il Piccolo era stato sede della Legione Muti durante la Repubblica di Salò,ma che dopo la Liberazione era stato riqualificato come polo culturale con il contributo impareggiabile di Giorgio Strehler, Paolo Grassi e Giovanna Galletti.
O, per esempio, dalla nomina a Presidente della Biennale di Venezia di Pietrangelo Buttafuoco, nipote dell’ex deputato missino Antonino Buttafuoco. Anch’egli senza un curriculum adeguato, ma tant’è.
La logica è la stessa che da un lato sta determinando il depauperamento dei palinsesti Rai a beneficio delle reti Mediaset e di La7 e dall’altro però promuove a spron battuto lo spoil system nell’azienda radiotelevisiva di Stato a vantaggio di parenti e amici.

Di arrembaggio in arrembaggio per le nomine, la produzione culturale muore.
Spoil system e tagli alla cultura hanno reso ormai Roma un cimitero di attività cessate e di esperienze di eccellenza sepolte.
Il Globe Theatre dopo il crollo del 22 settembre 2022 dovrebbe essere abbattuto per problemi di staticità e poi ricostruito, ma nessuno ha messo in campo risorse.
Il Teatro Eliseo è stato messo in vendita per 24 milioni a gennaio 2022 da Luca Barbareschi, oggi ben remunerato dalla Rai. La Regione Lazio dopo gli annunci non ha mai presentato progetti né, tanto meno, offerte.
A ottobre 2020 chiuse il Salone Margherita, il gioiello liberty che aveva ospitato la compagnia cabarettistica del Bagaglino.
Il Teatro dell’Angelo è chiuso dal 2020 e nei locali sorgerà un supermercato.
Il Teatro Flaiano ha chiuso la programmazione lo scorso decennio e si è convertito in spazio per eventi.
Il Teatro dell’Orologio chiuso nel 2017. Il Nuovo Teatro Colosseo chiuso nel 2014. Il Teatro delle Arti di Via Sicilia è abbandonato da oltre 30 anni. E così via.
Rari sono i casi di ripresa.
A breve dovrebbero iniziare i lavori di restauro del Teatro della Cometa, chiuso dal 2021 durante la pandemia .
A settembre dovrebbe riaprire il Teatro Valle, chiuso nel 2011 in conseguenza della soppressione dell’Ente Teatrale Italiano voluta da Tremonti e fin allora sempre in attività dall’inaugurazione nel 1727. Se ciò accadrà veramente il merito sarà in buona parte della fondazione Teatro Valle Bene Comune sorta all’interno dell’occupazione ad iniziativa di artisti, tecnici e maestranze che dal 2014 ha continuato a produrre in autogestione, fino al 2022.
La dismissione dell’esercizio cinematografico a Roma ha origini diverse, ma denota la medesima politica di taglio alla cultura senza eguali in Europa.
L’innovazione tecnologica allontana i film dal grande schermo e li sposta sempre più verso le piattaforme Tv o streaming mentre i volumi produttivi sono in crescita moderata (anche se sulle produzioni incide in modo non trascurabile l’effetto delocalizzazione come dimostra anche la scelta di ridurre da 17 a 9 i nuovi teatri di posa da finanziare con le risorse PNRR). Invece per lo spettacolo dal vivo la riduzione dell’offerta al pubblico dipende dalla scelta di disinvestire nella produzione, soprattutto per effetto del taglio dei contributi pubblici ad ogni titolo. Si tagliano le scenografie, i costumi, le paghe e, infine, i cartelloni.
A Roma sono ben oltre 100 le sale cinematografiche chiuse definitivamente. Circa una metà delle quali è ormai classificata come cespiti “abbandonati o dismessi”. L’altra metà invece ha ottenuto il cambio di destinazione d’uso e si è “riqualificata” perlopiù in supermercati o in sale scommesse (sic!).
Si poteva mantenere la destinazione d’uso e avere più laboratori teatrali, centri polivalenti, sale di registrazione o sale prove in quegli spazi dismessi, soprattutto nelle periferie più degradate per sottrarre i giovani proletari all’ineluttabile destino di emarginazione e, talora, di devianza.
Che fare per invertire la tendenza o, almeno, per contrastarla?
Ce lo hanno insegnato l’estate scorsa i lavoratori e gli studenti che si sono mobilitati quando la Lega con un colpo di mano aveva tentato di adottare un provvedimento di chiara impronta dirigistica nei confronti del Centro Sperimentale di Cinematografia che insieme alla Cineteca Nazionale costituisce un patrimonio di eccellenza internazionale. La vasta mobilitazione di massa ha imposto il ritiro dell’emendamento che puntava a designare con nomina governativa, al pari dei membri del CdA, anche i membri del Comitato Scientifico, iscrivendoli a libro paga del ministero mentre oggi sono personalità della cinematografia che si offrono volontari a titolo gratuito.
Ripartiamo da lì. Nei fatti e nella pratica c’è sempre una lezione da imparare.